L’azione di disconoscimento della paternità secondo la Cassazione: il principio della pregiudizialità dell’accertamento originario (Sentenza n. 8268/2023)
- Rachele Bordi

- 29 ott
- Tempo di lettura: 3 min
La sentenza n. 8268/2023 della Corte di Cassazione ha affrontato un tema particolarmente delicato nel diritto di famiglia: l’azione di disconoscimento della paternità e il principio della pregiudizialità dell’accertamento originario. La decisione fornisce chiarimenti importanti sul rapporto tra la verità biologica e quella legale, sottolineando come il diritto al disconoscimento non possa essere esercitato in modo arbitrario, ma solo nel rispetto di rigorosi presupposti giuridici.

Il contesto normativo: quando è possibile disconoscere la paternità
L’azione di disconoscimento della paternità è disciplinata dagli articoli 235 e seguenti del Codice Civile, e mira a rimuovere la presunzione di paternità del marito nei confronti del figlio nato durante il matrimonio.Può essere proposta:
dal marito, entro un anno dalla scoperta dell’adulterio o della non paternità;
dalla madre, quando dimostra che il figlio è stato concepito con un altro uomo;
dal figlio, che può agire entro un anno dal raggiungimento della maggiore età.
Questa azione ha effetti profondamente personali e incide direttamente sullo status filiationis, motivo per cui è soggetta a limiti temporali e procedurali molto stringenti.
Il principio della pregiudizialità dell’accertamento originario
La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’accertamento originario della paternità, una volta passato in giudicato, ha carattere pregiudiziale rispetto a qualsiasi successiva azione di disconoscimento. Ciò significa che non è possibile avviare un nuovo giudizio per contestare la paternità già accertata con sentenza definitiva, salvo emergano nuovi fatti o prove scientifiche decisive (ad esempio un test del DNA non disponibile all’epoca del primo processo).
Secondo la Corte, l’ordinamento tutela la certezza dei rapporti familiari e la stabilità dello stato civile, che non può essere rimesso in discussione senza un interesse concreto e una base probatoria solida.
Il caso deciso dalla Cassazione
Nel caso in esame, un uomo aveva proposto azione di disconoscimento della paternità nei confronti del figlio già riconosciuto in un precedente giudizio.La Corte d’Appello aveva dichiarato inammissibile la domanda, ritenendo vincolante la decisione già passata in giudicato.La Cassazione ha confermato tale impostazione, sottolineando che:
la verità biologica non può prevalere automaticamente su quella legale;
il giudicato sull’accertamento della paternità ha efficacia preclusiva, salvo nuove prove decisive;
la tutela della persona del figlio impone di evitare la continua instabilità dello status familiare.
Le implicazioni pratiche della pronuncia
Questa sentenza ha un impatto importante su diversi profili pratici:
rafforza la certezza del diritto nei rapporti familiari;
limita le azioni strumentali volte solo a eludere obblighi di mantenimento o responsabilità genitoriali;
ribadisce la centralità del principio di verità legale, che può essere superato solo in presenza di nuove prove scientifiche affidabili.
Cosa fare se si sospetta una non paternità
Chi ritiene di non essere il padre biologico di un figlio nato nel matrimonio deve agire tempestivamente, rispettando i termini previsti dalla legge e raccogliendo prove idonee.È consigliabile:
rivolgersi a un avvocato esperto in diritto di famiglia per valutare la strategia processuale più appropriata;
acquisire consulenze tecniche (test genetici o biologici) in modo formalmente corretto;
considerare gli effetti personali e patrimoniali derivanti da un eventuale disconoscimento.
Conclusione
La Cassazione n. 8268/2023 riafferma che il disconoscimento della paternità è un’azione eccezionale, soggetta a limiti temporali e procedurali rigorosi.Il diritto alla verità biologica deve sempre conciliarsi con la tutela della stabilità familiare e dell’interesse del minore.
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