Domanda di protezione internazionale: il Tribunale di Torino condanna la prassi discriminatoria della Questura
- Rachele Bordi

- 15 nov
- Tempo di lettura: 2 min
Un sistema di accesso inadeguato e lesivo dei diritti
Una recente decisione del Tribunale di Torino ha messo in luce le criticità della procedura seguita dalla Questura per la presentazione della domanda di protezione internazionale. I giudici hanno ritenuto la prassi adottata talmente gravosa e disorganizzata da configurare una vera discriminazione ai danni dei cittadini stranieri.
La sentenza prende posizione con fermezza: ciò che avviene a Torino contrasta con modelli più funzionali — come quello della Questura di Milano — basati su strumenti telematici e criteri trasparenti.

Le difficoltà imposte ai richiedenti: una pratica quasi impossibile
Dagli accertamenti emerge un quadro estremamente problematico. Molti stranieri, con o senza documenti d’identità, hanno tentato per giorni di formalizzare la loro richiesta senza riuscirci. In particolare, la procedura torinese era caratterizzata da:
assenza totale di prenotazione online;
lunghe attese all’esterno dell’Ufficio Immigrazione, spesso dalle prime ore del mattino;
nessuna garanzia di essere ricevuti nella stessa giornata;
criteri poco chiari nella scelta di chi potesse accedere;
episodi di esclusione in base alla nazionalità, ritenuti dagli stessi giudici indizi di una quota massima di ingressi.
Per i cittadini italiani, invece, la Questura offre sistemi di prenotazione rapidi e digitali per pratiche ordinarie come passaporto e carta d’identità. Una disparità evidente.
Perché la prassi è stata dichiarata discriminatoria
Il Tribunale ha respinto la giustificazione della pubblica amministrazione fondata sulla mancanza di risorse. Secondo i giudici, la prassi adottata produce effetti discriminatori poiché:
impone agli stranieri oneri e condizioni umilianti, privi di qualsiasi tutela;
rende inaccessibili diritti fondamentali collegati alla domanda di protezione internazionale;
espone a rischi concreti (controlli, trattenimenti, provvedimenti di espulsione);
ritarda o impedisce l’accesso a diritti essenziali come lavoro, salute, iscrizione anagrafica.
Particolarmente grave anche il rifiuto di calendarizzare appuntamenti richiesti tramite PEC da avvocati muniti di procura, persino quando i richiedenti erano pienamente identificati.
Il modello da seguire: l’esempio della Questura di Milano
Secondo il Tribunale, la Questura di Torino dovrà adottare misure capaci di superare definitivamente il sistema delle code. Il modello milanese è l’esempio indicato dai giudici, poiché utilizza:
piattaforme informatiche per la prenotazione;
collaborazione con enti del terzo settore;
procedure distinte per richiedenti con documenti e senza documenti.
Un sistema pensato per garantire pari trattamento e un accesso dignitoso ai servizi pubblici.
Conclusioni
La decisione del Tribunale di Torino rafforza un principio imprescindibile: chi intende presentare una domanda di protezione internazionale deve poterlo fare tramite una procedura equa, accessibile e rispettosa della dignità umana. Prassi disorganizzate o arbitrarie non solo violano diritti fondamentali, ma compromettono l’efficienza dell’amministrazione stessa.
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