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Casa familiare e divorzio: la Cassazione nega spazi all’ex coniuge non convivente

  • Immagine del redattore: Rachele Bordi
    Rachele Bordi
  • 15 nov
  • Tempo di lettura: 2 min

Il principio ribadito dai giudici: tutela prioritaria dell’habitat dei figli

Con l’ordinanza n. 12249 del 9 maggio 2025, la Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di assegnazione della casa familiare: il genitore non convivente non può ottenere locali o porzioni dell’immobile assegnato all’altro coniuge quando tale scelta non risponde in modo diretto al miglior interesse dei figli minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti.

La vicenda nasce dal divorzio tra un uomo e una donna, genitori di tre figlie. Due di loro sono ormai autonome, mentre la terza convive ancora con la madre ed è economicamente non autosufficiente. Proprio per questo motivo, la casa coniugale era stata assegnata alla donna, divenuta nel frattempo nuovamente sposata.


Casa familiare e divorzio: la Cassazione nega spazi all’ex coniuge non convivente

La decisione della Corte d’Appello: suddivisione dell’immobile

In secondo grado, però, il padre aveva ottenuto una modifica rilevante: l’uso del primo piano della stessa abitazione. Secondo la Corte d’Appello, la divisione dell’immobile in due unità appariva compatibile con le esigenze della figlia e con la diminuzione numerica del nucleo familiare. Questa soluzione veniva presentata come un compromesso equilibrato, utile a tutelare sia la prole sia il genitore in difficoltà abitativa.


L’intervento della Cassazione: quali errori sono stati commessi

La Suprema Corte ha annullato questa impostazione, individuando più criticità:

  • non è stato individuato alcun fatto nuovo che giustificasse la revisione delle condizioni del divorzio;

  • il matrimonio della madre non ha inciso sul domicilio né sulle ragioni dell’originaria assegnazione;

  • la perdurante non autosufficienza economica della figlia imponeva di garantire la piena tutela del suo ambiente domestico;

  • la Corte d’Appello ha attribuito al padre una porzione della casa basandosi solo sulle sue necessità abitative, estranee ai parametri normativi.

Per la Cassazione, la casa familiare può essere assegnata — anche solo in parte — solo se ciò risponde al miglior interesse del figlio convivente. Ogni valutazione basata sulle esigenze abitative o economiche dei genitori, non collegate ai bisogni della prole, è irrilevante.


Quando è possibile un’assegnazione parziale

La Corte precisa che in alcuni casi è legittimo destinare ai figli solo una parte dell’immobile, se:

  • l’abitazione è molto ampia rispetto alle esigenze del nucleo;

  • l’assegnazione parziale non compromette l’habitat domestico del minore o del figlio non autosufficiente;

  • la soluzione favorisce una gestione pacifica della genitorialità.

Tuttavia, questa possibilità non può trasformarsi in un mezzo per soddisfare le difficoltà abitative del genitore non convivente. La restante parte dell’immobile, quando non rientra nell’habitat domestico dei figli, resta regolata dal titolo di proprietà, non da provvedimenti giudiziali creati per ragioni estranee alla prole.


La conclusione della Cassazione

Applicando questi criteri al caso concreto, i giudici hanno ritenuto illegittima la scelta di assegnare al padre il primo piano: una decisione che riduceva lo spazio della figlia senza alcun beneficio per lei. L’interesse del genitore, pur comprensibile, non può prevalere sul diritto della figlia a mantenere il proprio ambiente di vita.


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